“Sdraiarsi sul letto sarebbe un’esperienza perfetta e suprema
se solo uno avesse una matita colorata
abbastanza lunga da disegnare sul soffitto.”
GK Chesterton

Arte Terapia in Ospedale

A chi si rivolge

Per bambini e adulti che vivono o hanno vissuto un’esperienza di medicalizzazione breve o lunga e che hanno bisogno di uno spazio per riprendere contatto con sé stessi, con il proprio corpo ed elaborare contenuti che l’esperienza di ospedalizzazione ha posto nel loro cammino.

Per i parenti che sono coinvolti in un’esperienza di medicalizzazione di un proprio caro.

Per operatori sanitari che lavorano in campo medico.

Per cosa

Per le persone coinvolte direttamente: per favorire l’espressione di ciò che non si riesce a contattare durante un’esperienza in cui il corpo viene messo a dura prova, per sostenere le parti vitali presenti in ogni individuo, anche in colui/colei che sperimenta la malattia e che non va identificato/a con essa. Per favorire la creazione di uno spazio positivo in un periodo difficile della propria esistenza che si ha bisogno di elaborare.

Per sostenere i parenti che sono coinvolti nel processo di accettazione della malattia di un proprio caro e hanno bisogno di esprimere i propri vissuti.

Per tutti quegli operatori che lavorano in campo sanitario e vogliono ritagliarsi uno spazio positivo per elaborare ciò che sperimentano durante il loro lavoro nella propria pratica professionale che li mette a contatto con esperienze di vita dai contenuti emotivi importanti.

Utilizzare il canale espressivo è funzionale per attingere alla propria creatività e alla capacità di trasformare contenuti dolorosi in opportunità di crescita ed evoluzione.

Dove

Presso studio privato o direttamente in ospedale, in reparti disposti ad accogliere l’esperienza o luoghi diversi che possono essere messi a disposizione per un progetto.

Proponi il tuo progetto!

Se hai un’idea e vuoi svilupparla, contattami e vediamo come è possibile metterla in pratica.

Sono nata a Bologna una città che mi ha permesso di osservare molto e che tutt’ora non smette di affascinarmi. Ho abitato in diversi quartieri, in uno di questi in un grattacielo nel quale sedevo sul tetto per lunghi pomeriggi e guardavo dall’alto le forme della città, gli abitanti muoversi come dettagli. Lo sguardo è sempre stato il motore con il quale ho imparato a interrogarmi sul mondo. Le parole sono arrivate dopo, ho imparato a leggere tardi per la mia età, disegnavo continuamente sui quaderni con la penna nera.

Crescendo ho cambiato molte case, città, Paesi, ho imparato ad osservare meglio, soprattutto quando
non parlavo la lingua del posto, capivo che tutto intorno a me era composto da immagini.
Le forme visive che erano lo strumento che mi consentiva di comunicare il mio mondo, un traghetto che poteva restituire quello che avevo dentro a chi incontravo nel mio percorso.
La mia relazione con la diversità è stata sempre presente, sin da piccola ho trascorso molto tempo con persone disabili, outsiders, persone di diversa provenienza, compagni di viaggio per me estremamente preziosi che mi hanno insegnato l’importanza di saper trovare nuove strade per comunicare.